Fair Play by Tove Jansson

Fair Play by Tove Jansson

autore:Tove Jansson [Jansson, Tove]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, fair play, tove jansson, iperborea
editore: Iperborea
pubblicato: 2017-01-23T23:00:00+00:00


Władysław

La neve era arrivata presto, una bufera con vento forte già alla fine di novembre. Mari andò alla stazione ad accogliere Władysław Leniewicz. Il suo arrivo da Łódź via Leningrado era stato preparato per mesi con reiterate richieste, referenze e verifiche passate di mano in mano da un’autorità diffidente all’altra. Le lettere che scriveva a Mari erano sempre più indignate: «Sono alla disperazione. Non capiscono, non si rendono conto, questi cretini, di chi stanno ostacolando? L’uomo che è stato definito il Maestro della Marionetta! Ma, mia cara e sconosciuta amica, ci stiamo avvicinando, a dispetto di tutto riusciremo a incontrarci per parlare in libertà della più profonda essenza dell’Arte. Non dimentichi il mio segno di riconoscimento, un garofano rosso all’occhiello! Au revoir!»

Il treno entrò in stazione. Eccolo là, uno dei primi a scendere, alto e magro con un enorme cappotto scuro, a testa nuda, la chioma bianca ondeggiante al vento. Anche senza garofano Mari avrebbe capito che quello era Władysław, un tipo così assolutamente anomalo. Ma rimase stupita di quanto fosse vecchio, proprio vecchio. Le sue lettere sembravano scritte con un’intensità giovanile, piene di aggettivi esagerati. E poi quella deplorevole tendenza a risentirsi per qualcosa che lei aveva scritto o tralasciato di scrivere. Era capace di parlare di «tono»: Mari aveva usato un tono sbagliato – e non dedicava al loro progetto comune la sua totale attenzione. Ogni malinteso doveva essere discusso, analizzato nel dettaglio, tutto tra loro doveva essere limpido e cristallino! Ah, quelle lettere sul pavimento dell’ingresso, il suo nome e l’indirizzo scritti a caratteri ampi e baldanzosi che coprivano tutta la busta…

«Władysław!» lo chiamò. «È arrivato, finalmente è qui!»

L’uomo avanzò lungo il binario a falcate elastiche, posò con grande cautela la valigia e si inginocchiò davanti a lei sulla neve. Un viso così vecchio, solcato da rughe profonde, con quel grosso naso sporgente. Poi, del tutto inaspettati, quegli occhi scurissimi che sembravano non aver minimamente perso la brillantezza della gioventù…

«Władysław», disse Mari. «Mio caro amico, la prego, si alzi.»

Lui aprì una borsa e sparse una manciata di garofani rossi ai suoi piedi; il vento li disperse lungo la banchina e Mari si chinò per raccoglierli.

«No», la fermò Władysław. «Li lasci stare. Devono rimanere lì, un omaggio alla leggenda finlandese, un segno che Władysław Leniewicz è passato di qui.» Poi si alzò, prese la valigia e le offrì il braccio.

«Scusate», disse una passeggera, una cortese signora con un berretto di volpe. «Scusatemi, ma non lascerete tutti quei bei fiori sulla neve?»

«Non saprei», rispose Mari molto imbarazzata. «È gentile da parte sua… Ma dobbiamo proprio andare…»

Più tardi Mari aprì la porta di casa. «Benvenuto», disse.

Władysław posò la valigia, sempre con molta cautela. Sembrava del tutto indifferente alla stanza in cui era entrato, si guardò a stento intorno. Non volle neanche togliersi il lungo cappotto nero.

«Un momento, devo chiamare la mia ambasciata.»

Non fu una conversazione lunga, ma molto concitata. Mari sentì la sua delusione e – appena prima che riattaccasse – un’esclamazione di grande disprezzo.

«Mia cara amica», disse infine Władysław, «può anche prendere il mio cappotto.



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